domenica 28 febbraio 2021

LA CRISI D'IDENTITA' DELL'OCCIDENTE di Dionisio di Francescantonio

L’Occidente trae il carattere che lo distingue dal resto del mondo dalla nozione di universalità che gli conferisce il cristianesimo. Già Roma aveva aperto la strada a questo concetto col proposito di consentire la cittadinanza romana a chiunque si identificasse nei suoi principi e nelle sue leggi, ma il cristianesimo estende all’infinito l’idea d’una società intrinsecamente universale con la speranza della salvezza eterna. Tale speranza, con l’avvento di Cristo, non è più il privilegio riservato a un popolo eletto come quello ebraico, ma la promessa offerta all’umanità intera, per cui tutti gli uomini, indipendentemente dalla razza di appartenenza e dalla cultura di provenienza, possono, attraverso un atto di volontà e di fede, farsi arbitri del proprio destino. Per molti secoli la diffusione del cristianesimo è stata sinonimo d’emancipazione e la condizione essenziale per una rapida fuoriuscita di intere popolazioni dalla barbarie, al punto che il cammino dell’intera Europa viene identificato con l’introduzione del battesimo, atto rituale di grande effetto simbolico ma soprattutto dal formidabile significato identitario. In tal modo l’Occidente, nel corso del suo cammino, ha assunto dimensioni universali, globali, cosmopolite, ma paradossalmente ha perduto, strada facendo, la propria anima, il proprio cosmo interiore, divenendo in un certo senso estraneo a se stesso. Questo perché, nello scorcio più recente del suo percorso storico, l’Occidente ha contratto un virus pernicioso e destabilizzante che l’ha portato alla negazione di sé, al disprezzo della sua peculiarità.

La nostra cultura ci rammenta costantemente che le nostre radici, la nostra memoria, la nostra fonte di verità e di principio risiedono nella cristianità, quella cristianità che a sua volta ha trovato alimento e continuità culturale nell’humus fecondo e vitalissimo del pensiero ellenico e del diritto romano. Ma il mondo occidentale, travolto dal postulato illuminista, dal cosiddetto trionfo della ragione e dallo scientismo ad oltranza, ha voluto strapparsi di dosso la sua dimensione spirituale e l’armatura di fede cristiana che ne rappresenta l’approdo più elevato e la custodia etico-umanistica. La dialettica sviluppatasi internamente al pensiero dell’Occidente, quella dialettica pervenuta con Hegel, Marx e Nietzche a negare alla religione ogni verità culturale e morale, ha finito per cancellare il cristianesimo dall’universo del pensiero occidentale opponendogli una concezione politica configurante lo Stato ateistico, una concezione realizzatasi storicamente nelle inevitabili versioni totalitarie del comunismo e del nazismo. L’uomo dell’Occidente ha presunto di fare a meno della divinità affidandosi alla propria ragione e alle (presunte) illimitate possibilità della scienza e della tecnica scaturite dal suo ingegno, dimenticando però che negando la dimensione del divino si finisce per negare anche quella dell’umano, come dimostrano, per l’appunto, i totalitarismi sanguinari e fratricidi in cui la logica degli umanesimi assoluti lo ha portato a impantanarsi per tutto il Novecento. E la nostra contemporaneità si aggira ancora lungo un percorso che, muovendo da tali premesse superomiste, ha allevato generazioni di individui dediti all’irrazionale solipsismo della ragione assolutizzata e prive d’ogni trascendente finalità, impegnate quindi in un inconsistente e vano gioco esistenziale dove il nulla diventa l’unico orizzonte possibile. Questa condizione si chiama nichilismo; e questa è la malattia dell’Occidente, il virus pernicioso che essa cova tuttora al proprio interno.

La negazione di sé che affligge l’Occidente si riflette nell’attuale incapacità di far proseliti propria del cristianesimo per effetto della profonda crisi di identità a cui è pervenuta la stessa Chiesa cristiana, fenomeno paradossale d’una religione nata per la salvezza di tutti gli uomini che oggi pone limiti alla sua affermazione e non offre più, alle altre culture, quella che prima era un’autentica scorciatoia per affrancarsi dalle proprie condizioni di arretratezza e approdare così alla piena comprensione della mentalità moderna, le cui conquiste di civiltà – dalla libertà individuale alla democrazia politica, dall’emancipazione della donna allo stato di diritto universalmente inteso – sono  frutto del lungo cammino compiuto dalla civiltà Occidentale sotto l’impulso universalistico e cosmopolita del cristianesimo. Sta di fatto che l’Occidente non è più capace di pensare alla propria storia come a un fattore di verità e di civiltà, di merito e di gloria. La sua verità è negletta, misconosciuta, negata dalla stessa coscienza dell’Occidente. E’ come se lo spirito dell’Occidente fosse stato estirpato dal suo proprio essere e non riuscisse più a riconoscersi. E questo accade perché il grande successo civile e morale della cultura occidentale, vale a dire la possibile armonia dei popoli del mondo all’insegna dell’affermazione dei diritti civili e della reciproca tolleranza, viene bollata, dai cascami della cultura superomista,  postmarxiana e nichilista, come sopraffazione nei confronti delle parzialità culturali opposte alla nostra e definita, sdegnosamente, come la pretesa eurocentrica o occidentocentrica di dominare gli altri. Oggi poi, con l’affermazione dilagante di un capitalismo spurio e bastardo, non più fondato sullo spirito d’impresa ma sulla finanza globalista e multiculturalista che impone un concetto di mega mercato teso a uccidere l’industria tradizionale sostituendola con la digitalizzazione e la robotica, il nichilismo diffuso dai nemici della civiltà occidentale è divenuto il terreno ideale per attuare gli scopi del globalismo che vuole uccidere le identità parziali, il radicamento comunitario e il concetto stesso di patria per imporre un umanesimo snaturato privo di senso morale e di valori religiosi. Neppure la prospettiva della distruzione delle conquiste di progresso materiale e sociale dei paesi occidentali e l’avvento di una dittatura mondialista è sufficiente a far rivedere le posizioni di questa corrente di pensiero già causa di tante rovine per l’Occidente e ancor oggi, nonostante i suoi clamorosi fallimenti storici, così attiva nel minarne la sicurezza e l’orgoglio identitario.

Alla fin fine, quindi, il vero problema dell’Occidente è quello di liberarsi dalla negazione di sé che le ideologie assolutistiche hanno introdotto nel suo sentimento morale, perché una civiltà che non sia fiera di se stessa, che rinneghi la sua storia di civiltà e le ragioni che l’hanno originata, alimenta una malattia mortale: la caduta dell’orgoglio delle sue origini, la perdita della propria memoria e quindi l’oblio di sé. Questo è il maggior pericolo dell’Occidente: di procedere verso il futuro di civiltà che esso ha reso possibile negando il valore del proprio passato e la forza spirituale e morale della religione da cui quel passato trae origine. L’Occidente deve affrontare una volta per sempre i suoi errori ed orrori, soprattutto quelli compiuti all’insegna dell’assolutismo ateista, riesaminandoli e rimeditandoli a fondo onde snidare il veleno autodistruttivo che quel pensiero deviato ha disseminato nella sua coscienza, così da espellerlo radicalmente da sé e tornare finalmente a volgersi con orgoglio e fierezza alle sue origini per ritrovare le proprie radici, quelle radici che affondano nel sostrato culturale vigoroso e fertilizzante prodotto dall’ellenismo, dalla romanità e dall’ebraismo, e fecondato fino all’apice delle sue possibilità promotrici ed effusive dall’afflato vivificatore della cristianità. Solo così potrà lottare contro la sfida globalista, divenuta oggi una minaccia di tirannide assai più grave di quelle affermatesi nel Novecento.