sabato 27 febbraio 2021

LE AFFINITA' TRA COMUNISMO E NAZISMO di Dionisio di Francescantonio

L’alleanza tra Stalin e Hitler non fu dettata solo da esigenze di strategia politico-militare, ma da un’intesa più profonda tra i due dittatori, da individuare nell’affinità ideologica dei due sistemi da essi incarnati.

Il periodo in cui Stalin e Hitler erano alleati è stato sempre accuratamente oscurato dalla propaganda comunista (soprattutto, in Occidente, ad opera dei partiti affiliati, come in Italia il Pci), agevolata in tale compito dal fatto che la resistenza sovietica all’invasione tedesca abbia contribuito in misura considerevole alla disfatta dell’armata hitleriana. Ma l’intesa tra i due dittatori, nata su un disegno di spartizione del mondo basato sulla volontà di scatenare la guerra tra i principali paesi capitalisti in modo da indebolirli per poi sopraffarli e dividersene le spoglie, si ruppe solo perché Stalin pretendeva l’annessione di territori come quello della Turchia orientale, dell’Iran e dell’Irak in modo da assicurarsi il controllo del petrolio mediorientale, una parte dello scacchiere internazionale che Hitler aveva già deciso di assicurare alla Germania. Per ottenere l’accordo coi nazisti Stalin non aveva esitato a fare carta straccia della sua politica d’implacabile opposizione al fascismo avviata a metà degli anni Trenta, mentre Hitler rinfoderava il livore mostrato contro il bolscevismo ricordando che, in definitiva, i suoi veri nemici erano i sostenitori del sistema borghese, mentre nel movimento nazionalsocialista gli estremi potevano congiungersi e trovare accordo e armonia accogliendo sia gli operai provenienti dalla sinistra che gli ufficiali e gli studenti provenienti dalla destra, e aggiungendo che era un vero peccato che le due fazioni spesso si contrapponessero l’una all’altra in scontri di piazza. D’altronde è probabile che le affinità per così dire sotterranee tra le due dittature, al di là delle differenze di facciata, non sfuggissero ai due principali attori della loro realizzazione. Stalin non faceva mistero della sua elevata opinione di Hitler, di cui ammirava l’estrema spregiudicatezza e crudeltà nei metodi di lotta politica, forse perché erano molto simili ai suoi. Per esempio, quando vi fu la famosa “Notte dei lunghi coltelli”, in cui Hitler fece eliminare fisicamente una parte ingente dei dirigenti del Partito nazista considerati non più affidabili per i suoi scopi, il commento di Stalin fu: “Che tipo in gamba, Hitler! Sa come trattare gli avversari politici”. Dall’altra parte, Hitler non smise mai di elogiare l’economia pianificata di Stalin, indubbiamente perché anch’egli concepiva il nazismo (che, diversamente dal bolscevismo, non poté sviluppare fino in fondo il suo percorso storico-politico perché interrotto dall’energica reazione dei paesi capitalisti e dell’URSS stessa alla sua aggressione militare) come l’affermazione del Partito-stato anche col pieno controllo del potere economico, oltre che di quello politico. Egli si era spinto addirittura a sostenere che i comunisti, a differenza dei socialdemocratici, potevano essere convertiti senza difficoltà al nazismo, e forse è stata proprio la piega impressa alla storia dalla seconda guerra mondiale ad impedire un processo di convergenza tra i due sistemi totalitari che avrebbe ben potuto essere la conseguenza più probabile della continuazione del patto nazista-sovietico. D’altronde l’affinità di fondo tra i due sistemi, come sottolinea  lo storico Robert Conquest, “era proprio l’atteggiamento estremista radicale, accompagnato dalla teorizzata necessità di annientare del tutto non soltanto l’ordine vigente, ma anche ogni suo principio morale, sociale, religioso… I nazisti di Hitler alimentavano il loro fanatismo con una religione surrogata, la quale non negava solo il cristianesimo ma anche la morale tradizionale in sé. Il tratto essenziale del nazismo era il nichilismo morale, che rappresentava anche il fattore comune tra esso e il bolscevismo”. 

Non stupisce quindi, stante queste premesse, la crisi politica ma anche personale che investì Stalin quando seppe che le truppe hitleriane avevano invaso la Russia. Egli si sentì tradito da un uomo verso il quale, evidentemente, avvertiva un’affinità elettiva profonda e a cui, tra l’altro, aveva fornito a prezzi di assoluto favore grandi quantità di materie prime (come grano, carburante, cotone, cromo e  manganese), offerto basi navali allo scopo di facilitare alcune operazioni militari e consegnato senza esitare diverse centinaia di comunisti tedeschi rifugiatisi in Unione Sovietica per evidenti motivi politici, consentendo così il loro internamento e la loro successiva eliminazione nei campi di concentramento nazisti. Le cronache raccontano come lo sgomento per l’invasione nazista avesse sopraffatto Stalin al punto da renderlo quasi ebete e indurlo a temporeggiare per più giorni nell’illusione di un attacco dovuto alla volontà “provocatrice” di alcuni generali tedeschi ribellatisi al loro capo supremo; e questo mentre l’esercito della Wehrmacht penetrava in profondità nel territorio sovietico. Quando, infine, si convinse che l’offensiva tedesca era una realtà tremendamente seria, si rivolse al popolo russo con un appello radiofonico in cui non usò il solito appellativo di “compagni e compagne” ma quello di “fratelli e sorelle” e addirittura di “amici miei”, chiedendo l’impegno di tutti per liberare il suolo della patria dall’invasore straniero. La ragione comunista venne accantonata e sostituita da quella patriottica, che si impose, tuttavia, non per obbedienza al dittatore, ma perché la popolazione russa non tardò a sperimentare sulla propria pelle la sanguinaria brutalità dei nazisti. E dopo molti insuccessi militari, che si protrassero per quasi un anno e mezzo, permettendo a Hitler di impadronirsi di buona parte della Russia europea, un’intera popolazione di partigiani affiancò l’esercito sovietico nella lotta all’invasore, incalzandolo tenacemente fino a costringerlo alla disastrosa ritirata, complice anche l’arrivo del rigido inverno russo, che annientò buona parte della Wehrmacht. Ma la vittoria dell’URSS  avrebbe richiesto maggior tempo e maggiori sacrifici in termini di vite umane (già ne occorse una quantità spropositata, indicata dalle fonti ufficiali sovietiche in 13.600.000 vittime militari e in 7.700.000 civili) senza l’aiuto determinante dei paesi occidentali “capitalisti”, tradottosi in forniture di risorse militari ingenti: migliaia e migliaia di aerei e mezzi di trasporto terrestri. Solo recentemente alcuni storici russi hanno ammesso che, senza questi aiuti, l’Unione Sovietica avrebbe avuto serie difficoltà a battere l’armata di Hitler.