In Cina, ogni anno è denominato simbolicamente attraverso gli animali. Il 2020 è stato l’anno del topo (il pipistrello di Wuhan altro non è che un topo con le ali…) mentre quello corrente è l’anno del bufalo. In Europa il 2020, anno primo dell‘era pandemica, è stato l’anno del procione. In una grande nazione europea, la Germania, il governo ha diffuso un video ufficiale relativo al Covid 19, diventato popolare anche nel resto d’Europa, ambientato in un lontano futuro, in cui la voce narrante è di un vecchio che racconta un’esperienza giovanile in forma di apologo.
“Era
l’inverno del 2020 quando tutti gli occhi del paese si rivolsero verso di noi.
Avevo appena compiuto ventidue anni, studiavo ingegneria a Chemnitz quando
arrivò la seconda ondata. Ventidue anni, l’età in cui vuoi far festa, studiare,
conoscere nuove persone e tutto il resto. Andare a bere con gli amici. Il fato
però aveva un piano diverso per noi. Un pericolo invisibile minacciava tutto
ciò in cui credevamo. Improvvisamente, il destino del paese fu nelle nostre
mani. Radunammo tutto il nostro coraggio e facemmo quello che ci si aspettava
da noi, l’unica cosa giusta da fare: niente. Assolutamente niente. Fummo pigri
come procioni. Notte e giorno abbiamo tenuto le chiappe a casa. È così che
abbiamo combattuto contro la diffusione del virus. Il divano era il nostro
fronte, la pazienza era la nostra arma. Sai, ogni tanto sorrido quando ripenso
a quel periodo. Quello fu il nostro destino. Così diventammo eroi. Nell’inverno
del coronavirus del 2020.”
Pigri come procioni, gli europei terminali diventano per questo “eroi”. Viene voglia di dare ragione a un altro tedesco, il drammaturgo comunista Bertolt Brecht: beato il popolo che non ha bisogno di eroi. Beninteso, se sono di questo tipo. Oblomov sul trono, l’immobilità come epopea, l’obbedienza come sfondo: “facemmo quello che ci si aspettava da noi “. Per riuscirci, dovettero ricorrere a “tutto il loro coraggio”. Tempo di procioni e di conigli, la paura eretta a virtù e la sequela dei padroni del gregge innalzata a modello di comportamento. Difficile immaginare un inno alla decadenza, alla mediocrità e al conformismo più potente del pistolotto “educativo” dell’ex ragazzo del 2020. Enorme il disprezzo diffuso per l’attività, il lavoro, l’impegno.
Il procione è l’eroe dei nostri giorni per la sua pigrizia, come il coniglio, con il suo timore, il nascondimento e l’indole imbelle diventa l’immagine di un’era che fa della paura, della pura sopravvivenza, un ideale positivo, addirittura un modello proposto ai giovani. E’ una malattia in più, non solo un effetto collaterale del Coronavirus: l’uomo-procione si sta ammalando di accidia, il settimo peccato capitale, il virus è sparso dall’alto, gli untori sono al potere. Il vero superlavoro non sarà dei virologi, ma degli psicoterapeuti alle prese con generazioni depresse, impaurite, confuse. Si resta esterrefatti per la coincidenza dei nuovi (dis)valori capovolti con la neolingua di Orwell: oggi la paura è coraggio, ieri “la verità è menzogna, l’ignoranza è forza, la guerra è pace”.
L’origine
della nostra civiltà è nel racconto del Genesi: Adamo, il primo ribelle, deve
procurarsi da vivere col sudore della fronte. Non si
tratta di un castigo, ma di una condizione antropologica. A un’attività che
sottopone a sforzi, pericoli ed impegno corrisponde un determinato sviluppo
cerebrale e morale. Allo stare sul divano ne corrisponde un altro, ben più
misero. Stiamo perdendo per sempre una generazione istupidita dallo stop
generalizzato, costretta sul divano davanti a uno schermo, passiva, mero recettore
di immagini, contenuti e idee elaborate altrove, privata della scuola e del
contatto con i coetanei – l’indispensabile “gruppo dei pari “- e con
l’educazione dei maestri. Più ignoranti, meno intelligenti e creativi, timorosi
della scoperta e dell’esperienza, diventati rischi da evitare. Giovani bloccati
e chiusi: colpevoli se affollano le strade della “movida” (che significa
esattamente movimento); definiti di volta in volta intollerabili, irrazionali,
ingiustificabili i loro “assembramenti” che non sono altro che volontà di vivere.
Spaventa la povertà del traguardo imposto. Rinserrato in casa, connesso a pc, smartphone
e televisione, l’uomo – e in particolare il giovane – è invitato non avere
altri obiettivi oltre alla tutela della salute. Il senso della vita diventa allontanare
la morte, l’indumento indispensabile è la maglia di lana.
Quali imprese, quali progetti,
immaginerà la generazione dei procioni, delle pecore e dei conigli? La
grandezza degli uomini e dei popoli sta nell’esempio, nell’adozione di modelli elevati
da imitare e superare. Se il modello è Oblomov l’immobile, il destino è
segnato, virus o non virus. C’è di più: è la prima volta il governo di una
grande nazione europea definisce coraggio il blocco, l’inazione, l’attesa passiva
di qualcosa di salvifico che sblocca la situazione. Tutto viene da “fuori”,
anche la fine del virus, per scomparsa, esaurimento o immunizzazione. Noi
aspettiamo, rinchiusi ma connessi. La relazione con l’esterno è la voce del
potere, il fischio del pastore, degli impresari del terrore. Ricordate il
vecchio logo di una casa discografica, il cane felice accanto a un grammofono
dalla cui tromba esce la voce del padrone?
Che uomini e donne si formeranno al
tempo del procione? Certo nessun eroe, pochi dissenzienti e ancor meno personalità
libere di cuore e di animo. La società che stanno creando – con la complicità
di un’epidemia che sempre più appare lo strumento gradito, se non provocato, di
un preciso progetto di ingegneria sociale – impedirà, almeno a medio termine,
qualsiasi cambio di direzione rispetto al cammino tracciato dall’alto, chiamato
Agenda 2030. Ogni popolo, affermò Joseph de Maistre, ha il governo che merita. Nessun vittimismo, nessun
destino cinico e baro. Nessun procione è mai andato al potere e ha cambiato il
mondo, il coniglio non organizza ribellioni.
Privato
di trascendenza e di destino, cancellata l’immaginazione, l’uomo-procione perde
la sua identità e la sovranità su se stesso. La parola d’ordine è accettare
tutto stando immobili, obbedire con lo stesso zelo con cui ieri si aborriva il divieto.
Quanto all’immaginazione al potere, chiusa per cessata attività: che cosa può
immaginare il procione, se non attendere il bollettino terroristico quotidiano
del virus, rabbrividire, chiudere a doppia mandata finestre e chiamare coraggio
la rinuncia a vivere? La parola d’ordine è accettare tutto senza avere in
cambio nulla che non sia la speranza della sopravvivenza biologica. Stanno
plasmando una generazione di zombie
impauriti, ma dimenticano che l’anima umana possiede una volontà e una
scintilla divina. Per quanto legioni di pompieri si impegnino a spegnerlo, un fuoco
tenace coverà anche sotto la cenere della tana dei procioni.
La
vita è un continuo rischio, una prova da superare ogni momento. Non si può
evitare il rischio così come non è possibile scansare indefinitamente il
dolore, altro incubo della società analgesica. La rimozione del pericolo, dell’incognito,
del dolore e della morte per costruire un Eldorado di
piacere, sonnolenza e tranquillità restano sogni impossibili: l’immunità che
esigiamo è immaginaria. Anche il procione, ignaro eroe dei giorni nostri, alla
fine muore. La vita non è una malattia: trascorrerla nel liquido amniotico, a
debita distanza dal prossimo, non ci renderà immortali. E’ sicuramente troppo
riuscire a far sì che “ciò su cui non possiamo nulla, nulla possa su di noi”, arduo
programma esistenziale a cui esortava Julius Evola, ma è vero quanto fa dire
Shakespeare a Giulio Cesare: chi ha paura muore mille volte, chi ha coraggio
una sola.
Questa
incredibile sottocultura della bambagia e della protezione ad ogni costo ha
trovato la sua fata turchina, tedesca come i teorici dell’uomo-procione: è la presidente della Commissione Europea, Ursula Von
der Leyen, che distilla ovvietà con il tono pensoso di chi enuncia verità
ultime e arcane. Stiamo entrando in un’era delle pandemie e anche dopo il Covid
il rischio resta, ecco il geniale apoftegma di Ursula, matrigna e padrona
premurosa degli europei regrediti a procioni. Malattie e pandemie ci sono
sempre state, è ragionevole immaginare che sì, il rischio sanitario resterà un compagno
inseparabile della vicenda umana. Sempre ci fu la paura, ma non diventò mai
scenario alimentato dal potere. Oggi domina chi riesce a terrorizzare le masse
sino a istituire una sorta di potere delle fobie, “fobocrazia”. I virus – ben
più letali del Covid 19- hanno
accompagnato ogni epoca, ma è la prima volta che la stravolgono nella pratica e
nell’essenza, pur avendo oggi l’umanità strumenti più
potenti per combatterli. La signora Von der Leyen- maschera da fata turchina e condotta da Crudelia
Demon- semina panico calcolato ai procioni di ogni età seduti in poltrona per
decreto.
Se “il rischio
resta”, vaccino o no, immunizzazione di gregge o meno, non si tornerà alla
“normalità” di ieri. Ad ascoltarli restando svegli, non assopiti nella tana, i
superiori parlano chiaro. L’ incubo virale rimarrà e, attraverso la dolce
signora della Commissione Ue, l’oligarchia ci offre la sua “protezione”. Non è
lo stesso atteggiamento della mafia nei confronti di coloro a cui estorce il
pizzo? La loro protezione passa per il nostro silenzio e la riduzione a conigli
impauriti. La leva è la stessa della criminalità organizzata: la paura. Potere
del panico, fobocrazia in cui domina chi diffonde, alimenta e gestisce il
timore di massa. L’apocalisse durerà a tempo indeterminato perché così hanno
deciso in alto loco: che bello- per chi sta lassù- un mondo di procioni in
maschera!Immunità di gregge rinforzata da mascherina
Chi vive nel panico non ragiona, obbedisce in
nome della pellaccia. E’ la fifa, la vecchia fifa. Il potere lo sa e spegne con
secchi d’acqua gelata il fuoco della speranza generata dai vaccini. La tecnica
non è nuova: creare paura, diffondere ansia, minacciare e poi in qualche misura
tranquillizzare. Il poliziotto buono e quello cattivo. Chi ha seminato il
veleno, possiede l’antidoto, ma esige sottomissione. Studia da quasi un secolo
le tecniche di persuasione di massa, ha elaborato strategie di dominio
raffinatissime, in fondo facili da mettere in pratica, se si possiede o
controlla l’istruzione, la cultura e si impone, come si dice dopo Lyotard, la
“narrazione”.
Le regole del
controllo sociale sono note: Noam Chomsky ne ha elencate dieci. La prima è la
strategia della distrazione – la possiamo anche definire dell’ignoranza
pianificata- e consiste nel deviare l’attenzione dai cambiamenti decisi dalle élites
economiche e tecnologiche e messi in pratica dal sottostante livello politico, inondando
il pubblico di informazioni insignificanti o addirittura false, credute per
ripetizione. Essenziale è creare problemi, per offrire poi le soluzioni, che
devono essere invocate ed introiettate con un sospiro, inevitabili e
necessarie. Ci si deve rivolgere la pubblico come a dei bambini – o a dei
procioni – per determinare una reazione infantile, facilmente controllabile e
manipolabile. Si deve usare il registro
emotivo, non invitare alla riflessione, provocare un cortocircuito di istinti che
allontani l’analisi razionale. L’uso del registro emotivo permette di aprire la
porta dell’inconscio per impiantarvi idee, desideri e paure e timori. La Fabbrica dei diritti
Occorre mantenere la gente nella mediocrità che
impedisce di comprendere, perfino di sospettare l’esistenza di tecniche e i
metodi per il controllo e la dominazione. Indurre ad essere volgari, stupidi ed
ignoranti- procioni addormentati- è un’altra delle tecniche del potere, che
rafforza la colpevolizzazione di sé. Il procione è responsabile delle sue
disgrazie: non è rimasto abbastanza fermo, non si è “distanziato”
sufficientemente, non ha seguito a dovere le istruzioni diffuse a reti
unificate. Senza azione, peraltro, non c’è rivoluzione, o almeno dissenso
organizzato. Nessun cambiamento è mai stato provocato da popolazioni chiuse tra
le mura domestiche. L’ultima regola di
Chomsky è una constatazione: il potere ci conosce assai meglio di quanto noi
stessi ci conosciamo. Questo è ancora
più vero al tempo della sorveglianza digitale, della profilazione e della
predittività dei comportamenti attraverso l’uso delle tecnologie informatiche e
dalla generalizzazione di modelli matematici sempre più sofisticati.Adolescenti in trappola
Ha una certa importanza anche l’introduzione di
concetti come la cosiddetta piramide di Maslow. Lo psicologo statunitense Abraham Maslow
teorizzò una gerarchia di bisogni o necessità posti su cinque livelli
crescenti. Il potere ha lavorato con grande successo per intrappolare la
stragrande maggioranza degli esseri umani nei due livelli di base; la
soddisfazione dei bisogni fisiologici (fame, sete e simili) e i bisogni di
salvezza, sicurezza e protezione. Viene progressivamente estirpata la parte più
nobile della natura umana, che richiede appartenenza, affetto, identificazione,
e, sempre più su, stima, prestigio, successo e autorealizzazione.
All’animale
bastano i bisogni alla base della piramide: per questo dall’alto hanno diffuso
il modello del procione. Lo stesso
Chomsky, ben prima dell’attuale crisi, osservò che “se guardiamo ciò che succede nella nostra
società da alcuni decenni, ci accorgiamo che stiamo subendo una lenta deriva
alla quale ci abituiamo. Un sacco di cose che ci avrebbero fatto orrore venti,
trenta o quarant’anni fa, a poco a poco sono diventate banali, edulcorate e
oggi ci disturbano solo leggermente o lasciano indifferenti gran parte delle
persone. In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle
libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità della natura,
alla bellezza ed alla felicità di vivere, si effettuano lentamente e inesorabilmente
con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute”.
L’accelerazione
impressa da febbraio 2020, inizio dell’era virale, è impressionante. Abbiamo
ancora la capacità di accorgercene e reagire o- per restare alle metafore zoologiche-
la rana è bollita a puntino e non è più in grado di saltare fuori dalla
pentola? Dalla risposta dipende il successo della nostra riduzione a plebe
animalizzata in cattività. Da uomini a procioni.